Una donna incinta alla ventisettesima settimana più sei giorni di gestazione si ricoverava presso il reparto di neonatologia di una Azienda Ospedaliera con minaccia di parto a termine, dove veniva sottoposta a controlli ecografici e cardiotocografici e le veniva somministrata terapia farmacologica con “antosiban” al fine di protrarre per il più tempo possibile la gestazione.
Tuttavia, dopo pochissimi giorni dal ricovero, i sanitari sospendevano la suddetta terapia e ritenevano opportuno praticare taglio cesareo a 28 settimane + 6 gg di gestazione dal quale nacque il piccolo in stato di prematurità.
Nel percorso di crescita il neonato mostrava una serie di deficit posturali e dello sviluppo motorio, sicché, a seguito di una serie di indagini e controlli, al piccolo veniva diagnosticata tetraparesi spastica con ipertono degli arti, ipotonia assiale con mancato controllo dal capo associato a esotropia.
L’indicato quadro clinico, a seguito di consulenza medico-legale, risultava essere ricollegabile alla negligenza e all’imperizia dei sanitari che ebbero in cura la gestante, i quali, da un lato, praticarono il taglio cesareo in assenza di fenomeni dinamici e senza aver riscontrato alcuna dilatazione della cervice o comunque in assenza di segnali di travaglio conclamato e ingravescente, dall’altro, sospesero la terapia con “antosiban” ed omisero di procedere ad emocoltura e monitoraggio dell’emocromo quotidiano.
I genitori del piccolo agivano dunque giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento del gravissimo danno biologico subito dal bambino.
Il Tribunale:
– accoglie la tesi del macroleso e dei genitori;
– rigetta la tesi dell’Azienda ospedaliera e dell’impresa di assicurazione;
– liquida al macroleso;
– il danno non patrimoniale;
– il danno patrimoniale da lucro cessante futuro;
– il danno emergente futuro per le necessarie spese di assistenza;
– liquida ai genitori del macroleso;
– il danno non patrimoniale;
– il danno emergente passato per le spese sanitarie e di assistenza.