La responsabilità medica si inserisce nel più ampio filone della responsabilità professionale, che trova il suo fondamento normativo nel Capo II del titolo III del Libro V del codice civile, in particolare nella parte in cui l’art. 2236 c.c. esclude la responsabilità per “colpa lieve” del prestatore d’opera intellettuale.
È noto come nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale è richiesta un tipo di diligenza, differente da quella del “buon padre di famiglia” (cfr. art. 1176, comma 1 c.c.) e parametrata al tipo di attività svolta; invero, l’art. 1176 del c.c. al comma secondo parla di diligenza c.d. “qualificata”.Proiezione di tale forma di diligenza è la perizia, intesa quale conoscenza e applicazione di quel complesso di regole tecniche proprie della categoria professionale di appartenenza, nella specie si tratta delle leges dell’ars medica, tese a circoscrivere l’àmbito del rischio consentito e, per l’effetto, l’àmbito di liceità dell’intervento medico. Nella prassi, si configura la fattispecie della colpa medica ogniqualvolta vi è una inosservanza e/o violazione da parte del sanitario delle specifiche regole cautelari di condotta proprie dell’agente modello del settore specialistico di riferimento. La condotta può essere omissiva, allorché l’errore medico (terapeutico o diagnostico) si sostanzi nell’omissione delle cautele prescritte, da valutare anche con riferimento ai protocolli terapeutici standardizzati, oppure commissiva, laddove la violazione si sostanzi in condotte attive